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Matteo • 5 anni fa

Quello delle “Ceneri” è uno tra i più bei Pasolini – perché molte sono le sue facce legate alla malleabilità e poliedricità delle sue direzioni – che affonda il bisturi nel proprio corpo e nella propria persona, facendo della sua affilata ed oltranzistica autoanalisi una coraggiosa, ma volutamente non sempre lucida, autopsia: a Pasolini non rimane, ancora una volta, che il solo combattere, gettando il corpo nella terra e nella lotta. Proprio questo sembra, ancora oggi a 43 anni dalla sua scomparsa, ciò che è doveroso salvare: la crisi personale di un intellettuale stabilmente in bilico, che pare ancora legato alla suggestione montaliana dell’"anello che non tiene". Al mondo contadino, puro villereccio, si sta ora opponendo l'impura società industriale, distorta e contraddittoria, dove la poetica "rosada, luccicante e semplice, si scontra irrimediabilmente con il pervasivo e grigiastro smog.

framo • 5 anni fa

Oltre la storia, "nel calore che fa più grande della storia la vita", proprio in virtù della fedeltà della poesia autentica alla vita, la forza originaria della voce del poeta scava nel profondo e, ogni volta, si rivela fonte d'inesauribile provocazione. Intatta, lucida e - proprio perché profondamente umana - sempre sensualmente critica, si sforza di andare "dicendo parole come il mondo nuove" con l'effetto, oggi come allora, di stimolare una reazione intensa e reale allo stato da narcosi cronica in cui versa chi ha finito per avvertire come ostile persino il risveglio e l'ascolto della propria anima e si è assuefatto alla stanchezza incrostata di pseudoparole che gettano in un torpore sempre più radicale, indotto da altrui e propria dimenticanza. Grazie PPP

E’ poesia alta, davvero alta poesia questa della pasoliniana “Terra di lavoro”: la terzina dantesca – e pascoliana - tra tradizione e modernità, appare strumento metrico perfettamente congeniale al poeta di Casarsa, che in questo poemetto la plasma con la facilità dei grandi poeti e la poesia si inarca da una terzina all’altra, corre sui versi come il vecchio treno su cui il poeta viaggia, spostandosi con sguardo penetrante - quasi una cinepresa – dai miseri viaggiatori al paesaggio fuori dal finestrino, e il canto accorato che ne scaturisce è la sola speranza che a Pasolini rimane. Perché Pier Paolo Pasolini è soprattutto poeta e alla poesia affida la sola possibilità di conciliare la storia con la vita, la sola possibilità di conciliare impegno di intellettuale anti borghese e formazione borghese, la sola possibilità di incidere sulla realtà e sulla storia.

Chiara • 5 anni fa

Pasolini in viaggio verso il sud, verso la terra di lavoro, denuncia la nuova società e i suoi cambiamenti. Mette a contrasto la vecchia vita contadina, semplice e spensierata con quella nuova borghese triste e omologata.
Adesso le stesse persone che prima avevano diverse abitudini sono tutte uguali e
la società odierna rende li sordi e ciechi davanti alla nuova realtà.

Arianna Capirossi • 5 anni fa

Pasolini non fu un semplice poeta, fu un parresiaste. Nella sua vita si caricò del peso della verità, che veicolò in una letteratura in grado di descrivere nella maniera più perspicua le dinamiche storiche e sociali del secondo Novecento. Leggendo Pasolini si capisce perché e come siamo arrivati oggi a essere ciò che siamo; la sua parola è rivelatrice.

Giulia Bagnoli • 5 anni fa

Ogni viaggiatore ha una storia negli occhi, anche soltanto intravista o sfocata. In questo veder passare la vita passivamente c’è tutta la rassegnazione del poeta che, deluso e senza illusioni, racconta la vita vera.

Antonietta Puri • 5 anni fa

Dal finestrino di un treno per pendolari, un treno mezzo vuoto nel freddo autunnale, osservare gli elementi del paesaggio che ne denunciano l' appartenenza al Meridione, anzi a quello spicchio di suolo denominato "Terra del Lavoro"; osservare poi i rari passeggeri del treno, gente che guarda con occhi indolenti e disincantati la vita che gli scorre davanti...Meditare, con animo ancora fervido, sulla condizione umana di queste persone taciturne, che vivono la povertà come una colpa, ognuno con la propria storia senza storia di fame e di servitù, gente il cui rossore sugli zigomi rivela una specie di vergogna nell'improvvisa passeggera coscienza di avere un'anima... E poi accomunare nel proprio sentire tutti i derelitti della terra e ricordare un tempo in cui nei loro occhi si leggeva, insieme a quella del corpo, un'altra fame: la speranza di liberarsi dal sopruso e dalla miseria, la speranza, anzi la fede, del riscatto sociale e morale...
Non più ora; ora i miseri del mondo non hanno più come solo nemico il padrone delle terre, ma anche quella cosa astrusa, quell'astrazione inventata dagli intellettuali che ha sostituito la parola "fede" con "ideologia": cosa che non appartiene a questa gente perché vola troppo alta sulla loro testa e a volte postula lo spargimento di sangue...
E così, il viaggiatore Pasolini si rassegna sul triste futuro di queste terre e di chi le abita, mentre rimpiange il gusto forte delle antiche passioni. Nel frattempo, un sole al tramonto che si mescola alla pioggia sembra accendere una favilla di speranza nel cuore di quei poveretti e il poeta avverte un senso di compassione per la loro sorte, sentendo con sgomento che anche la sua pietà ha un peso su quelle anime, come un'altra nemica. Questo è Pasolini: affascinante, appassionato, spiazzante, talvolta irritante, spesso irriverente e provocatorio, uno che scava fino in fondo la realtà mettendocisi tutto. Uno la cui voce, a tanti anni dalla sua morte, si fa sempre sentire chiara e forte!

Marco Capecchi • 5 anni fa

Di Pasolini colpisce e sorprende in ogni reiterata lettura questo raccontare la storia nella sua materialità più profonda, nella sua carnalità più intensa eppure riuscire a dirci lo spirito di uomini e donne, il loro sudore e il loro anime.

Damiano Malabaila • 5 anni fa

mi sembra giusto insistere su Pasolini poeta: lo è stato sempre (generosamente, sorprendentemente), qualunque fosse il mezzo espressivo; ed è stato uno dei massimi...

Marco Marchi • 5 anni fa

Pasolini individua nell’endecasillabo e nella terzina dantesca in aggiornata accezione novecentesco-pascoliana un affidabile strumento per raccontare il sociale e la cronaca che si fa Storia: una moderna narratività poetica che trova nei poemetti delle "Ceneri di Gramsci" la sua tenuta più compatta e il suo momento più alto. Poi, già con le raccolte degli anni Sessanta, la bilancia oscillerà pericolosamente: quel tentato e di per se stesso miracolosamente instabile equilibrio non regge, quella forma sperimentata con profitto si sfalda e la poesia cambia faccia, prestandosi a mille oltraggi e a mille nuove identificabilità: sino a fare di se stessa, di se stessa com’era stata tra passione e ideologia un tempo, una contraddizione instante o un recidivo simultaneismo.